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MAMMA O PAPÀ? - Cinema sotto le stelle

Asciano - Martedì 17 luglio ore 21:00 in piazza San Francesco


Valeria e Nicola sono pronti a divorziare, d'accordo su tutto, e si preparano a comunicare la loro scelta ai tre figli: un adolescente no global, una pre-teen incollata allo smartphone e un piccolo nerd, tutti egualmente ostili nei confronti degli imbelli genitori. Ma quando viene accettata la richiesta di Nicola di esercitare la sua professione di ginecologo in Mali per sette mesi e contemporaneamente a Valeria, ingegnere edile, viene offerto un trasferimento in Svezia di analoga durata, quella che era una trattativa civile si trasforma in una lotta all'ultimo sangue non già per ottenere la custodia dei figli, bensì per rifilarla all'altro, e partire verso l'estero in tutta libertà. 
Mamma o Papà non decolla perché rincorre non uno ma due prototipi stranieri (Papa ou Maman e La guerra dei Roses), perdendo di vista la realtà specificamente nazionale. I problemi cominciano in sceneggiatura. Risulta ad esempio difficile capire perché Valeria non possa portare con sé in Svezia i ragazzi per un periodo di meno di un anno, non perché in quanto madre sia automatico che sia lei a prendersi cura della prole, ma perché in Svezia crescere i figli, anche da single, è reso molto più semplice che da noi. I figli, inizialmente villani e strafottenti, si trasformano inspiegabilmente in vittime imbelli non appena inizia la guerra per liberarsi di loro. I personaggi di contorno, fondamentali in una commedia, sono appena accennati e privi di un vero arco narrativo: la coppia degli amici, l'infermiera, il collega di Valeria, l'improbabile giudice sempre disposta a dare ascolto alla coppia (in Italia le consensuali si concordano con l'avvocato, non direttamente con il magistrato). Si salva solo il nuovo boss dell'ingegnera grazie alla bravura istrionica di Carlo Buccirosso, che ci fa (quasi) credere alle contorsioni laocoontiche del suo personaggio. 
Risulta infine quasi impossibile accettare, soprattutto in Italia, l'ipotesi che due genitori si accaniscano sui propri figli e combattano per liberarsene (mentre è ahimé perfettamente credibile che combattano fino alla morte per l'affido, o che mettano i figli contro l'ex). Quand'anche fosse credibile, è difficile accettarlo come premessa comica, perché rimanda a certe violenze domestiche da cronaca nera sulle quali c'è ben poco da scherzare: non è un caso che la ferocia de La guerra dei Roses non coinvolgesse mai direttamente i minori. Ma se Mamma o Papà fa poco ridere il problema non è solo di sostanza, è anche di forma. La regia di Riccardo Milani sembra infatti indecisa fra il tono e il passo da scegliere, si muove a disagio fra personaggi e scene poco credibili, in una città del veneto che, invece di essere efficace teatro di crudeli dinamiche di provincia (come in Signori e signore), diventa sfondo asettico di ibridazione internazionale. Anche la recitazione rimane in superficie, non veicola sentimenti autentici, o anche solo autentiche frustrazioni. Paola Cortellesi, coautrice della sceneggiatura insieme a Giulia Calenda e a Milani, sembra fuori parte nella versione acida di Valeria: le mancano quella ferocia dolorosa e quella malizia perversa che caratterizzavano la Barbara Rose di Kathleen Turner, così come Antonio Albanese non ha il pelo sullo stomaco e la tracotanza "virile" di Michael Douglas nei panni di Oliver Rose. Per proseguire nel parallelo con La guerra dei Roses, ispirazione evidente anche per Papa ou Maman, Milani non mostra il cinismo sulfureo di Danny De Vito, anzi tende a smussare gli angoli e ad ammorbidire le asperità. Posto che la premessa per cui due genitori sarebbero disposti a vittimizzare i figli per perseguire i propri interessi ha poche speranze di far sorridere il pubblico nostrano, una volta compiuta quella scelta bisognava portarla fino in fondo, e soprattutto scegliere fra satira italiana, farsa francese e black comedy anglosassone, mantenendo quella unità di ritmo comico e quella coerenza narrativa che purtroppo qui mancano.



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